La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Feriale Penale, ha recentemente emesso una sentenza significativa in materia di frodi nel settore del commercio, industria e agricoltura, riguardante in particolare la sofisticazione del vino.
La sentenza, n. 36684 del 5 settembre 2023 – di seguito scaricabile -, ha confermato la condanna dell’imputato, dipendente della società agricola Castel Rio, per tentata frode in commercio, ai sensi degli articoli 110, 56, 515 e 517 bis del codice penale.
Il caso verteva sulla detenzione di vini sofisticati con sostanze vietate, quali cisteina, acido cloridrico e solforico, tra altri, destinati a modificarne le caratteristiche naturali. La Corte d’appello di Perugia aveva già riconosciuto la colpevolezza del reo, riducendo la pena a una multa di 500 euro, ma l’imputato aveva presentato ricorso sostenendo che il vino non era stato ancora posto in commercio e che, pertanto, non si potesse configurare il reato di frode.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, sottolineando che, ai fini della configurazione del reato di frode in commercio, non è necessaria la concreta contrattazione con un acquirente. È sufficiente la detenzione di prodotti con false indicazioni di provenienza e qualità presso il magazzino dell’impresa produttrice, in quanto ciò è indicativo della successiva immissione nel circolo distributivo.
La detenzione di vino sofisticato, parte del quale già imbottigliato, è stata considerata un atto idoneo e diretto in modo non equivoco alla vendita, integrando così il tentativo di frode.
Inoltre, la Corte ha chiarito che la normativa specifica sulla sofisticazione del vino (L. n. 238 del 2016, art. 71) prevede sanzioni amministrative “salvo che il fatto costituisca reato”. Nel caso in esame, l’adulterazione del vino con sostanze vietate per la successiva vendita costituisce un reato, rendendo inapplicabile la sola sanzione amministrativa.
La sentenza ha ribadito l’importanza della tutela dei consumatori e dei commercianti, confermando che la frode in commercio sanziona la consegna di prodotti diversi per qualità o provenienza da quelli dichiarati, indipendentemente dall’effettiva vendita.
La decisione rappresenta un importante precedente giurisprudenziale nella lotta contro le frodi alimentari e la tutela della qualità dei prodotti agricoli.