Da diversi mesi leggiamo quotidianamente di gravi ed efferati omicidi, violenze e abusi, in ordine sparso: la vicenda del bidello e dell’hashtag #10secondi; l’omicidio di Carol Maltesi; l’omicidio di Giulia Tramontano, il famoso stupro di Palermo, e si potrebbe proseguire a lungo.
Casi giudiziari brutali. Casi mediatici. Casi pubblicizzati con ogni mezzo, nel tentativo di farci interessare alla notizia prima che questa passi (è triste ma è così) di moda.
Sia chiaro. La frase “con ogni mezzo” non è casuale, basta controllare.
Su GoogleTrend, infatti, il nome della povera Giulia Tramontano è stata quest’oggi diciottesima nella classifica delle parole maggiormente ricercate in Italia su Google con oltre 5.000 click.
Poi, aprendo una di queste pagine web si incontra facilmente una fotografia della ragazza ancora in vita, al mare, incinta, sorridente.
Nessun dubbio circa la legittimità di un articolo scritto e pubblicato in ragione del diritto e del dovere di cronaca o per un sano spirito di ricerca ed approfondimento. Molti dubbi invece sorgono circa le modalità con cui si offrono (perché di offerta si parla) le notizie.
Ci si chiede “è necessario spingersi fino a tal punto?” e, ancora, “è giusto agire senza immaginare – o volendo deliberatamente ignorare – le conseguenze delle nostre azioni?“. In sintesi: “vale tutto?“
Evidentemente no.
Nei giorni scorsi il Garante della Privacy ha più volte richiamato gli organi di stampa rammentando la necessità – non negoziabile, aggiungerei – di tutelare la dignità della vittima di violenza sessuale (https://www.studiosoardi.com/2023/09/02/stupro-di-palermo-nuovo-richiamo-del-garante-privacy-vietato-divulgare-le-generalita-della-vittima/) ricordando – come se ce ne fosse bisogno – che pubblicarne immagini o diffonderne i dati personali costituisce reato (articolo 737bis del Codice Penale).
Inoltre a difesa della dignità, non solo delle vittime, ma anche degli indagati, si è mossa l’avvocatura nella persona del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, il quale ha ricordato con una lettera inviata a molte redazioni di giornali che – piaccia o non piaccia – gli indagati sono persone innocenti fino a prova contraria mentre la gogna mediatica è immediata e produce effetti devastanti senza aspettare alcun giudizio, di primo, secondo o terzo grado.
A giudicare da come sono stati confezionati tanti articoli in questi ultimi giorni parrebbe che tali ammonimenti non abbiano (ancora?) colto nel segno e che siano destinati a disperdersi insieme al rispetto per tutte quelle persone (vittime, indagati, parenti delle une o degli altri) coinvolti nelle vicende giudiziarie.
Forse, invece, stiamo iniziando a prendere coscienza di un fenomeno che colpisce sempre “gli altri” ed al quale siamo insensibili fino a che non ci tocca personalmente, come in tanti altri fenomeni umani.