Con la sentenza n. 53285 del 23 novembre 2017 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il legale rappresentante, il preposto e la società stessa, imputati del reato di lesioni personali subite da un dipendente (amputazione della falange di un dito, con indebolimento permanente della mano) in conseguenza di un incidente sul lavoro.
In particolare il legale rappresentante è stato ritenuto responsabile per:
- non aver provveduto a predisporre un adeguato documento di valutazione dei rischi recante l’individuazione della procedura per attuare le misure di sicurezza inerenti la specifica fase in cui era occorso l’incidente;
- non aver adottato idonee misure tecniche ed organizzative;
- non aver formato adeguatamente il lavoratore in ordine ai rischi connessi all’uso di un particolare macchinario da cui era derivata l’amputazione.
Con specifico riferimento agli obblighi datoriali la sentenza ha richiamato le recenti pronunce secondo le quali il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda. Questo avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Per quanto riguarda il preposto la Corte ha ritenuto che non abbia controllato l’uso del macchinario da parte di personale non adeguatamente formati.
La società è stata ritenuta responsabile, ai sensi del D.lgs. 231/01, sulla base di un nesso di casualità tra la propria politica in materia di prevenzione antifortunistica ed il fatto.
In merito ai presupposti della responsabilità amministrativa dell’ente introdotta con il D.Lgs. n. 231 del 2001 gli ermellini hanno osservato che, quanto, che i criteri di imputazione oggettiva di cui al riferimento contenuto nel D.Lgs. n. 231 del 2001 (interesse o vantaggio dell’ente), sono riferibili alla condotta e non all’evento. Peraltro in caso di reati colposi di evento, essi sono alternativi e concorrenti tra di loro, esprimendo il criterio dell’interesse una valutazione del reato di tipo teleologico, apprezzabile ex ante, al momento cioè del fatto secondo un giudizio soggettivo e avendo, invece, quello del vantaggio una connotazione eminentemente oggettiva, valutabile ex post, sulla base degli effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito. Inoltre, sempre in tema, si è riconosciuto l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, laddove si configura il vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici di merito abbiano ricollegato la responsabilità amministrativa dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto oltre che alla inadeguatezza dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove, con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.
Di seguito il file pdf della sentenza: Cassazione-penale-23-novembre-2017-n.-53285